Riso e biodiversita’ in India

25 Agosto 2014 ufficioassefa

Anche l’India, come il resto del mondo, sta perseguendo una politica agricola autodistruttiva. I moderni sistemi di coltivazione, dettati dall’esigenza di ottenere dai campi una resa sempre maggiore, sono devastanti per il suolo, che a causa dell’uso di fertilizzanti e di pesticidi, necessari per praticare la monocoltura, diviene progressivamente sterile. Per non parlare dell’uso sconsiderato dell’acqua, indispensabile per questo tipo di agricoltura. I cambiamenti climatici sempre più accentuati, con siccità prolungate, hanno ridotto le riserve d’acqua, e le varietà di riso ad alta produttività si sono rivelati incapaci di resistere a condizioni avverse. Le varietà tradizionali, che sono state selezionate nel tempo e nell’uso da parte dei contadini, hanno dimostrato invece di poter affrontare meglio questi problemi. Gli iniziali vantaggi portati da raccolti più abbondanti si sono rivelati apparenti e sempre più si sta diffondendo la consapevolezza del valore delle colture tradizionali e della biodiversità, come baluardo contro il cambiamenti climatici e le politiche neoliberiste.

Nel 1990 due ricercatori indiani avevano pubblicato uno studio da cui risultava che in India erano presenti circa 200.000 varietà di riso, frutto di una selezione naturale avvenuta nei secoli attraverso la pratica agricola. Questa ricchezza è oggi drasticamente diminuita, anche se in parte persiste, in modo diverso nei differenti stati indiani (nel Tamil Nadu sono attualmente coltivate 142 varietà di riso).

ASSEFA è impegnata nella difesa dei piccoli coltivatori, dei loro tradizionali sistemi agricoli e quindi della biodiversità. Nel Tamil Nadu esistono ancora infatti molti piccoli contadini che coltivano le varietà tradizionali di riso nelle zone non irrigate, ma dipendenti dall’andamento delle piogge (monsone di nord-est, da agosto a dicembre). E non si tratta di coltivazioni in perdita, perché con un’agricoltura organica delle varietà tradizionali di riso, associata all’allevamento, si riducono di metà le spese per la coltivazione e si ottiene la paglia da utilizzare per il bestiame, quindi il profitto netto risulta leggermente superiore a quello ottenuto con le varietà moderne. Se poi si confronta la situazione del suolo (presenza di sali minerali e di sostanze organiche e resistenza alle malattie) si vede che l’agricoltura organica è molto più vantaggiosa. Questi contadini, se sono troppo poveri per conservare i semi fino alla stagione successiva, vengono aiutati dai gruppi di auto-aiuto a mettere da parte collettivamente una certa quantità di semi, che vengono poi venduti a un prezzo equo a chi ne ha bisogno. Si sta facendo strada anche la pratica della banca del seme a livello di villaggio.

Ma la ricchissima biodiversità del riso in India è messa in pericolo da una legge entrata in vigore nel 2004 (Seed Bill) che prescrive l’obbligo di registrare i semi messi in commercio per uso agricolo e di fatto impedisce ai piccoli coltivatori di utilizzare i semi prodotti da loro stessi o dagli altri contadini del villaggio. La stessa legge non prevede un efficace sistema di controllo degli OGM, con un alto rischio di contaminazione irreversibile.
I semi registrati appartengono alle “varietà ad alta produttività”, di cui viene fortemente incoraggiata la coltivazione al posto delle varietà tradizionali, accusate di essere poco redditizie. Risulta quindi evidente che la nuova legge ha posto le condizioni per la creazione di monopoli da parte di grandi aziende private e per la negazione dei diritti e l’ulteriore peggioramento delle condizioni dei piccoli contadini.

Se vuoi scoprire una delle iniziative ASSEFA a difesa di biodiversità e coltivazioni tradizionali, visita la pagina del progetto Kallupatti e Sivakasi.