L’agricoltura, il futuro e ASSEFA

23 Giugno 2015 ufficioassefa

Qual è il futuro dell’agricoltura e dei contadini in un mondo globalizzato e frenetico in cui il cibo sembra essere diventato paradossalmente un bene secondario ad altri?
Dal 20 al 22 Aprile 2015 si è svolto a Brescia il Convegno “Le 3 agricolture: contadina, industriale, ecologica. Nutrire il pianeta e salvare la terra”, cui ASSEFA ha partecipato con Elena Camino e Franco Lovisolo, del Gruppo ASSEFA Torino.
Gli organizzatori del Convegno (La Fondazione Micheletti e Slow Food) si proponevano di esplorare alcuni degli orientamenti dell’attuale produzione alimentare, e di mettere a confronto aspetti che caratterizzano il processo di modernizzazione e l’evoluzione delle pratiche contadine tradizionali, in uno scenario in cui i limiti delle risorse materiali ed energetiche si fanno sempre più evidenti.

L’intervento presentato da ASSEFA ha trattato del crescente conflitto socio-ambientale per la disponibilità di terra agricola in India, e ha sottolineato la straordinaria lungimiranza e modernità di Gandhi (e dell’ASSEFA che ne ha tradotto la visione in azione concreta). L’autosufficienza alimentare, il basso consumo di risorse, la capacità di auto-governo delle comunità rurali, insieme all’impegno incessante per sviluppare modalità di relazione amichevoli e inclusive, fanno dell’ASSEFA un esempio importante in una fase di ristrutturazione globale delle filiere agro-alimentari orientate alla sostenibilità.
Il tema è inoltre di grande attualità, in un anno in cui l’Italia ospita un evento mondiale come l’Expo, dedicato all’alimentazione e, nel bene e nel male, capace di focalizzare l’attenzione mondiale su queste problematiche.

E’ dei giorni scorsi un rapporto presentato da Coldiretti proprio all’Expo, nel Forum Internazionale dell’Agricoltura, che evidenzia come vi siano troppi agricoltori poveri.
I numeri di Coldiretti dicono che una persona su tre, nel mondo, lavora nell’agricoltura. Ma ecco il vero paradosso: proprio in questa fascia di popolazione molti soffrono la fame. Degli oltre 800 milioni di persone che vivono in condizioni di miseria e malnutrizione, secondo la Fao, la maggior parte opera in agricoltura.

Ciò che manca è soprattutto un adeguato riconoscimento sociale ed economico del lavoro nei campi. La globalizzazione dei mercati ha delegittimato il cibo fino a farlo considerare una merce qualsiasi. Gli effetti negativi vanno dalle speculazioni sulle materie prime agricole al furto di milioni di ettari di terre fertili a danno dei Paesi più poveri, il cosiddetto land grabbing. Bisogna pertanto ripensare il sistema di produzione e distribuzione del cibo e perseguire un modello di sviluppo sostenibile che garantisca un sistema di tutela sociale ed economica.
Quella che è la missione di ASSEFA da 45 anni è oggi la missione di un intero pianeta. ASSEFA ha dovuto far fronte in India, nel tempo, a profondi cambiamenti della società, culminati negli ultimi vent’anni in una crescente adesione del governo indiano al modello neo‐liberista proposto dall’Occidente.
Nel convegno di Brescia si è evidenziato come l’urbanizzazione dilagante (Delhi, con 25 milioni di abitanti, è seconda al mondo dopo Tokyo), l’apertura al commercio internazionale e alle multinazionali, l’aumento dei prezzi dei generi alimentari: tutto ciò ha favorito l’esodo dei contadini verso le grandi città, e ha reso più difficile l’operato di ASSEFA. A questo si è aggiunta l’instabilità nel regime delle piogge dovuta ai cambiamenti climatici, che ha creato ulteriore insicurezza nei contadini.
L’India ha ancora (World Urbanization Prospects, 2014) la più estesa popolazione rurale del mondo (875 milioni), ma con l’espandersi dell’urbanizzazione, si prevede che nei prossimi anni il numero di residenti rurali vedrà un calo di 52 milioni di persone. L’esodo dei contadini è un dramma non solo per le comunità rurali, ma per l’intera società.
La perdita di terreno agricolo riduce la capacità di produrre cibo e crea un grave problema alimentare per milioni di famiglie. Un ricercatore indiano, Shahab Fazal, già nel 2000 segnalava, tra le conseguenze della perdita di terreno agricolo nei dintorni della sola città di Saharanpur, una riduzione nella produzione di cereali di 50.490 quintali tra il 1988 e il 1998, in parallelo a una espansione della città di 168 ettari. Tenendo conto che questo processo si manifesta contemporaneamente in migliaia di città, la perdita globale di terreno agricolo e di cibo diventa molto rilevante.
Il governo del Primo Ministro Narendra Modi sta sostenendo molti progetti di sviluppo industriale, che richiedono centrali e dighe per la produzione di energia, e miniere per la fornitura di materie prime: tutti spazi sottratti ai terreni agricoli e alle residue foreste.
L’eccezionale aumento del PIL indiano è stato ottenuto a spese di una crescente dipendenza sia da fonti non rinnovabili di energia (petrolio invece di biomassa), sia da importazioni dall’estero (di materie prime e beni di consumo). Lo sviluppo industriale ed economico ha reso quindi l’India ambientalmente meno sostenibile e politicamente meno autonoma. Mentre il PIL cresce con il passare degli anni, si riduce la biocapacità, cioè la ricchezza naturale e rinnovabile della nazione (boschi, foreste, prodotti agricoli e risorse ittiche).
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A subire le conseguenze negative della perdita di terreni agricoli (e più in generale di ‘natura’) sono soprattutto i contadini più poveri, le comunità indigene, gli Adivasi: essi si vedono sottrarre le fonti di vita (la terra, l’acqua, le aree di pesca) e spesso vengono costretti ad abbandonare i loro luoghi di origine, diventando dei ‘rifugiati ambientali’.
In India, ancor più che in altri Paesi, le conseguenze di questa trasformazione si fanno sentire drammaticamente.
La situazione che stanno vivendo centinaia di milioni di Indiani – travolti da processi di ‘modernizzazione’ socialmente violenti e ambientalmente insostenibili – sta portando questo immenso Paese verso una condizione di instabilità potenzialmente distruttiva anche a livello mondiale.

L’India ha infatti ormai, per dimensioni e influenza politico-economica, un peso rilevante nelle dinamiche planetarie. Inoltre è una nazione che rispecchia un andamento globale. Nel 1950 la popolazione urbana nel mondo era il 30%; nel 2014 è diventata il 54%, e si prevede che nel 2050 il 66% della popolazione mondiale vivrà in ambienti urbani.
Nessuna industria può offrire il tipo di lavoro e il numero di posti di lavoro pari all’agricoltura, perché può assorbire non più di un decimo dei contadini che rimangono senza terra.

Il sostegno che ASSEFA India fornisce alle comunità rurali marginali va collocato quindi nel contesto più ampio della situazione dell’India e delle dinamiche della globalizzazione. Il contributo ad ASSEFA per la difesa della terra e delle comunità rurali indiane, nella raccolta di fondi per i progetti, e nella sponsorizzazione dei bambini ha quindi un profilo più universale di quanto non possa apparire superficialmente. E’un aiuto alle popolazioni e a un territorio distanti da noi solo geograficamente, ma indissolubilmente legati al nostro futuro in una dimensione interconnessa e globale.
Cancellare fame, povertà e malnutrizione; combattere il cambiamento climatico; tutelare beni comuni come acqua, terra e biodiversità; ridurre gli sprechi lungo le filiere alimentari: sono tutti obiettivi che possono e devono camminare insieme. Sono gli obiettivi cui ci dedichiamo da anni e a cui vogliamo tendere in futuro, anche e soprattutto grazie al vostro sostegno.

Potete leggere la versione integrale dell’intervento di ASSEFA al convegno di Brescia a questo indirizzo.

Spunti interessanti di riflessione sull’argomento si trovano anche nell’ultimo rapporto sulla presenza di ASSEFA in un mondo globale e in veloce cambiamento, redatto dal presidente di ASSEFA Italia ONG, Franco Lovisolo.